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Franco Dionesalvi
immagine su fondo bianco che raffigura due macchie di color Oro e Rame su fondo bronzeo
Sensibili alle Foglie- € 16,00 invito all'acquisto
ISBN 978-88-32043-52-5



altri titoli nella sezione NARRATIVA:
•Ai confini della pubertà
•Racconti erotici
•Libro della morte e delle cento vite
•La maledizione della conoscenza •Storie di computer e di fantasmi

1

  "Tienimi forte – gli disse lei – se mi stringi forte, io non ho paura".
  "Non devi aver paura, non più, io sarò con te per sempre".
  L'onda, l'acqua avanzava da tutte le parti; un istante, un soffio ancora, e sarebbe stata in loro, e niente, e tutto.
  Ma loro si tenevano forte, per mano. E andarono incontro all'onda che ineffabile risuonava.

  La spiaggia brulicava di foglie vischiose, di stelle e di altre creazioni del mare. Lella ed Aurelio si erano staccati dalla comitiva ed erano soli. Non proprio soli; c'era Mariuccia che restava con loro, a fungere da alibi alla fughetta di lei, che poi tornando dalla mamma avrebbe potuto dire: io ero con Mariuccia, ci siamo allontanate a guardare i pescatori che tornavano a riva.
  Il mare quel giorno era altalenante; a momenti di bonaccia si alternavano cavalloni alti e ruggenti. Che a riva non facevano troppo male, ma risuonavano minacciosi abbastanza da richiamare ai rifugi i bambini. E già le barche stavano riconquistando la terraferma.
  Giovanni, scendendo dalla barca, andava a infangarsi, e, rialzando con due mani la rete traboccante di anguille, ai ragazzini che già gli correvano incontro con fare allusivo mormorava: "Di questo mare non c'è da fidarsi". Erano parole che sarebbero risuonate negli anni in quelle testoline in via di formazione; e qualcuno di loro, anni dopo, le avrebbe ritrovate in una sacca della sua memoria e le avrebbe rivestite di sensi ulteriori, come una metafora arcana.
  Lella guardò invece a riva. C'erano le capanne; che ogni anno ad agosto in cima alla spiaggia costruivano i paesani, sì che quel mese la vita tutta quanta dal paese si trasferiva giù a mare. E c'erano tutti: zio Pasquale con quella turba di nipoti delinquenti; che aveva allevati tutti lui, visto che erano orfani, e lui li cresceva li nutriva li coccolava ma li trattava un po' come cagnolini, rozzi e selvaggi se li portava dietro nelle sue scorribande per campi.
  E il geometra, quello coi baffi sporgenti come un gatto; sì, proprio il papà di Gaspare, che una volta ci aveva provato con lei, ma lei non voleva, con quei pantaloni corti sotto la giacca e la cravatta le sembrava uno falso, artificioso, e poi quando le si era avvicinato aveva sentito un alito come di limone andato a male.
  E c'era anche don Pasquale, il podestà; la sua capanna ovviamente era quella più lussuosa, aveva due stanze, una per dormire e un'altra davanti per ricevere il pubblico; con l'usciere che puntuale alle otto del mattino arrivava lì davanti e si metteva alla porta a regolare il traffico, e decideva chi poteva entrare a conferire e chi invece doveva tornarsene deluso e frustrato ai suoi poveri stracci.
  Le facevano con la legna, e ci mettevano tre giorni a costruirle, tre giorni di stenti e di fatica. Mettevano sopra le assi un telo lungo che fungeva da soffitto, che potesse resistere alle piogge, che peraltro erano un fatto raro in quel mese rovente; e poi il trenta del mese smontavano tutto, in fretta, e se ne tornavano in paese alla vita di tutti i giorni. Quelle legna, se erano rimaste buone le conservavano per un anno ancora, per un'altra estate. E se no, se erano consumate, si raccoglievano per l'inverno, per bruciare e scaldare le sere più rigide.
  C'erano, sì; ma lontano, visibili appena. Come visibili quasi per niente erano, dalle capanne, loro due, Lella ed Aurelio, che allora si parlavano ma le parole erano poche, non tante ne conoscevano e assai meno osavano pronunciarne. Però più che la voce erano gli occhi, a parlarsi, a scrutarsi, a coccolarsi. E poi a sorvegliare e a scovare ogni pensiero, ogni reazione, ogni risposta. E a tradurle in altre reazioni, ossia in altre frasisoltanto esclamate con lo sguardo. E ancora a tremare e a sperare, a ritrarsi e a sperare. A fingere di abbandonare, per poi finalmente cedere e accordare. E allora tornarono le bocche; ma non per parlare, no. Per sorridere. E per cantare.
  Perché Aurelio, non sapendo più dire, si era messo a cantare, per lei.
"Carmé quando ti vedo, Carmé quando ti vedo, Carmé quando ti vedo mi batte il cuore."
  E poi, ecco, si erano baciati. Aurelio l'aveva visto fare al cinema, quella volta che c'era andato in città. Era un'attrice americana, aveva i capelli lunghi, biondi, che finivano sulle spalle un po' ondulati. Lui invece aveva i capelli corti, ed era bruno. Prima si erano guardati, un po' senza dire niente. Poi lui l'aveva presa e l'aveva stretta e l'aveva baciata. A quel punto l'immagine non era chiara, poi lui era di spalle; ma le labbra erano unite, e gli occhi di lei sorridevano, ed erano rimasti in quel modo a lungo, e c'era la musica, ed era splendido; e poi l'immagine era sfumata.
  Lella invece ne sapeva di meno, perché una volta l'aveva visto, ma stampato su una rivista, e lì le immagini erano ferme, i movimenti di prima e di dopo non potevi saperli. Ma il prima e il dopo, poi, cosa importava? C'era solo il bacio. Per sempre. Come allora, lì, in riva al mare.
  Mariuccia si era curiosamente irrigidita, aveva stretto i pugni e teneva gli occhi chiusi, serrati da farsi male. Quando poi, ore dopo, Lella le chiese: "Ma perché hai fatto così, ti facevamo schifo?" Lei rispose: "No, per niente, secondo me eravate bellissimi, ma io non dovevo vedere, non lo devo sapere, perché poi se mi chiederanno cosa avete fatto ed io non lo dico, faccio peccato."
  Peccato o non peccato, Aurelio allora aveva acquisito quel sapore, quell'odore, quel tepore dentro la sua bocca, dentro la sua testa, dentro la sua anima. Di fiori fragranti? Di frutti appena raccolti? Questo non avrebbe saputo dirlo, anche se si sarebbe interrogato per anni e anni per decodificare, per dare un riferimento, un nome a quel sapore. L'unica cosa di cui era certo è che si trattava della cosa più pulita, più candida, più pura che avesse mai percepito in tutta la sua vita.
  Che quel sapore non avrebbe potuto abbandonarlo mai.
  Ma loro si tenevano forte, per mano. E andarono incontro all'onda che ineffabile risuonava.